a cura di: Marinella Cucciardi

Il 27 ottobre nelle splendide Sale del Casinò di Montecarlo si sono svolti gli eventi conclusivi della IV edizione del “Mese della Cultura e della Lingua Italiana”, sotto l’alto patrocinio di S.A. il Principe Alberto II e dal Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano.
Per l’importante circostanza il pittore italiano Giuseppe Frascaroli, ha consegnato all’Ambasciatore d’Italia per il Principato di Monaco, Sua Eccellenza Antonio Morabito, una sua opera pittorica di mirabile fattura, ritraente Santa Devota, Patrona del Principato e della Famiglia Grimaldi. “Con quest’opera ha affernato il Maestro – ho voluto rappresentare i sentimenti di unione e cristiana fratellanza che il popolo italiano vuole trasmettere agli amici monegaschi”. L’opera di Frascaroli è stata apprezzata dai molti partecipanti alla fastosa cerimonia, personaggi della jet society della cultura, del giornalismo.

Alla donazione erano presenti anche Sergio Fracchia che da anni è un affermato imprenditore e immobiliarista operante nel Principato, il Sindaco della Città di Voghera Carlo Barbieri.
Giuseppe Frascaroli, laureato in medicina con specializzazione in neurologia, straordinario pittore italiano eclettico e versatile, ed è considerato il pittore neoclassicista italiano di rilievo a livello istituzionale, oltre che valente studioso di Arte Pittorica. Vive ed opera in Oltrepò Pavese, sua terra d’origine. Dopo aver orientato la propria ricerca espressiva verso ambiti neoclassicisti per i quali ha conseguito la Medaglia d’Oro Nazionale, e numerosi altri Premi da importanti Istituzioni, Frascaroli si è avvicinato principalmente alla pittura di matrice religiosa, e ai generi della “Natura Morta” e “Neosclassica”, con tratti pittorici che si avvicinano alla “Pittura Colta” e alla dottrina “Anacronista”.

E’ noto internazionalmente come il “Pittore dei Papi” (ha consegnato personalmente due tele pittoriche rispettivamente a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI ed è in corso d’opera una tela per Papa Francesco), vede le proprie opere esposte in importanti e storiche Sedi Istituzionali italiane ed estere, sia dello Stato sia della Santa Sede, tra cui: i Musei e il Palazzo Apostolico del Vaticano, l’Arsenale di Venezia, la Pinacoteca del Patriarcato di Venezia, Palazzo Madama – sede del Senato della Repubblica -, Palazzo Montecitorio – sede della Camera dei Deputati -, Palazzo delle Prigioni di Palazzo Ducale a Venezia, il Museo Storico Nazionale della Fanteria in Roma, la Chiesa cristiano-maronita di “San Giorgio” a Beirut in Libano, il Museo Storico Navale di Venezia, il Palazzo del Governo della Repubblica di Cina a Taipei, l’Università degli Studi “Delle Peschiere” di Genova, la Stupa di Boudhanath (V secolo, patrimonio dell’umanità dell’Unesco) a Kathmandu in Nepal, il Teatro alla Scala di Milano, il Museo Storico “G. Beccari” di Voghera, il Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Montesegale, il complesso monumentale dell’Eremo di Sant’Alberto di Butrio (Pavia – XI secolo), la Cattedrale di Città del Messico e altre importanti Chiese e Santuari del Guatemala.

Sua è l’unica opera commemorativa per il Centocinquantennale dell’Unità d’Italia, consegnata il 17 ottobre 2011 al Presidente della Camera dei Deputati. Sua è l’unica opera commemorativa per il Duecentesimo Anniversario della nascita di Giuseppe Verdi, consegnata all’Orchestra Filarmonica della Scala di Milano durante il Concerto del 16 dicembre 2013. Presente inoltre alla 55esima Esposizione Internazionale d’Arte alla Biennale di Venezia 2013, in quel contesto Frascaroli ha consegnato un suo dipinto al Governo della Repubblica di Cina (Taiwan).

Sue testimonianze bibliografiche ed iconografiche sono conservate negli archivi dei seguenti ambiti museali italiani ed internazionali: Moma di New York, Tate Modern di Londra, Centre Pompidou di Parigi, Stedelijk Museum di Amsterdam, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, i Musei Macro e Maxxi di Roma. Tra i molti riconoscimenti, le alte Onorificenze di Cavaliere dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana” e di Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, oltre che la nomina a Socio Onorario del Circolo Artistico di Venezia.

Dopo il nostro incontro qui a Montecarlo, non ho potuto esimermi dall’intervistare un artista così poliedrico e interessante con alcune domande, alle quali il Maestro ha risposto a volte in modo forse un po “ermetico”, ma comunque sempre in modo estremamente interessante.

Perché questo interesse per l’arte sacra?
Il Santo Padre Giovanni Paolo II nella sua lettera agli Artisti del 1999, espresse alcuni concetti interessanti: “L’artista è sempre alla ricerca del senso recondito delle cose, il suo tormento è di riuscire ad esprimere il mondo dell’ineffabile. Come non vedere allora quale grande sorgente di ispirazione possa essere per lui quella sorta di patria dell’anima che è la religione? Non è forse nell’ambito religioso che si pongono le domande personali più importanti e si cercano le risposte esistenziali definitive?”. Sono d’accordo con tale pensiero. L’arte sacra è un qualcosa di misterioso che ha sempre affascinato i pittori e che mi affascina particolarmente. Rendere percepibile con forme e colori infatti, il mondo dello spirito, dell’invisibile, di Dio, trasferire in formule significative ciò che è in se stesso ineffabile è qualcosa di estremamente stimolante per un pittore. E questo senza privare il messaggio stesso del suo valore trascendente e del suo alone di mistero.

Parliamo di natura morta: che cos’é per te questo genere pittorico?
Affascinante e non priva di inquietudine e di mistero, la natura morta, o meglio la “natura silente” come mi piace definirla, non è affatto un semplice oggetto “silenzioso”, ma una presenza coinvolgente che entra in dialogo con il tempo presente.

Per questo sono affascinato da questo genere pittorico, che mantiene a secoli di distanza la sua bruciante attualità. Operando una trasfigurazione della semplice realtà quotidiana, la “natura silente” permette di far diventare fuoco di visione e di pensiero ciò accanto a cui si passa senza che l’occhio si fermi a contemplare; ha il potere pertanto di restituire alle cose il loro segreto, invitando l’occhio di chi guarda a scoprire il senso profondo dell’essere e dell’esistere. Questo genere pittorico diventa così “interpretazione poetica” della vita silenziosa delle cose, strappandole al loro essere meri oggetti destinati al consumo e all’uso. Cose povere e umili, oggetti inanimati, si offrono a noi, e noi siamo interrogati sulla nostra capacità di vedere, di sentire e di meditare.

Ho notato che, nel genere della “natura morta” ma anche nelle opere squisitamente neoclassiche, quasi sempre, accanto a oggetti di antica fattura si intravede oggettistica moderna:ha un significato particolare?
Le mie nature morte o i miei quadri ispirati al classicismo, hanno un aspetto particolare essendo rivisitati in chiave “anacronista”: é percepibile infatti come, nel recupero di tecniche, stili e temi dell’arte del passato, vengono inseriti guizzi concettuali rimandanti alla contemporaneità, come ad esempio griffe di marche famose, che rendono sicuramente più interessante e originale l’opera pittorica, perchè oltre al godere dell’immediatezza dell’immagine, rimandano allo spettatore il compito di procedere alla relativga indagine visiva e decifrazione concettuale.

Dove scaturisce questa tua passione per l’arte figurativa classica?
E’ mia convinzione, d’accordo con Eugène Delacroix, pittore francese tra i maggiori esponenti del Romanticismo, che la prima virtù di un dipinto debba essere “una festa per gli occhi”. Questo concetto secondo cui l’obiettivo principe della produzione artistica debba essere il “provare piacere attraverso la produzione del bello”, è stato più volte espresso da diversi artisti e uomini di cultura nella storia dell’arte, ed emerge anche nel pensiero del grande filosofo Immanuel Kant, secondo il quale di fronte ad un’opera d’arte, siamo pronti a considerarla tale, solo se ci pare bella, ossia solo se avvertiamo quel piacere nel fruirne, scaturente proprio dal “libero giuoco” atto in noi. Mi piace abbracciare questa teoria estetica “settecentesca” di arte, anche se appare sicuramente, ma solo apparentemente, arcaica rispetto alle pieghe che l’arte successiva prenderà, ad esempio nel ‘900, quando lo scopo dell’artista diverrà sempre più quello di angosciare, di inquietare, di scomodare, di urtare, di produrre quello “shock” di cui parlerà Benjamin, o quello “stoss” che approfondirà Heidegger.

Dopo tutti gli sperimentalismi e le peripezie, talvolta spericolate, attraversate negli ultimi anni dalla pittura, credo sia auspicabile e possibile un ritorno alla “moderazione”, dove l’artista cerchi di ritrovare equilibratamente la propria dimensione umana, rispolverando e riprendendo quella gloriosa tradizione culturale, fonte di tanti capolavori, che è stata l’ispirazione alla classicità, anche se questa deve lasciare spazio ad una “reinterpretazione” della stessa, con rimandi alla contemporaneità e alle istanze sentimentali romantiche. Sono infatti convinto che l’ideale classico di una bellezza e di una grazia perfette, espressione in origine di un animo non turbato dalle passione, può e deve tradursi in un nostalgico vagheggiamento di una condizione naturale sperduta che si apre alla rappresentazione delle lacerazioni, delle inquietudini e delle passioni dell’uomo moderno. Sono fermamente convinto su un “grande ritorno alla pittura”, recuperando le ragioni stesse del dipingere, con la ripresa di una figurazione che dia un significato non solo alla manualità, ma al senso estetico e poetico dell’arte.

Questo lo si può raggiungere nutrendosi della lezione degli antichi maestri, soprattutto del Rinascimento italiano e della scuola fiamminga. Recuperare il senso estetico nell’arte, vuol dire in qualche modo “provare piacere attraverso la produzione del bello”: il bello, l’armonica proporzione, l’eleganza e la ponderazione, sicuramente generano un senso di “riflessione benevola” sul significato della propria esistenza dentro il mondo naturale. Riavviciniamoci quindi senza indugio, noi uomini moderni, a quella “via pulchritudinis” del mondo classico – illustre dimenticato del secolo scorso – per ricostruire un mondo migliore! La bellezza non lascia indifferenti: trasmette energia, serenità e fiducia. «La bellezza salverà il mondo», diceva il grande romanziere russo Fȅdor Dostoevskij !»

[nggallery id=74]