Assomoda. Associazione Italiana degli agenti e distributori della moda e dello sport. A cura di Cinzia Veneziano

Cinzia Veneziano intervista a Massimo Costa, Segretario Generale di Assomoda e autore di Il Temporary Shop

Dott. Costa, cos’è la moda? 
La moda, come ben sappiamo, è un fenomeno molto interessante dal punto di vista culturale. Come aveva osservato George Simmel, all’inizio del secolo breve, nella moda si realizza un apprezzabile compromesso fra due tendenze innate nell’animo umano: il desiderio di imitazione e di uguaglianza da un lato e il desiderio di differenzazione dall’altro.
Attraverso la moda, infatti, ciascuno di noi può entrare nell’ambito della cerchia sociale che predilige e, nel contempo, può differenziarsene facendo valere la propria unicità.
Evidentemente la moda, e i consumi ad essa connessi, possono bene guidarci nella comprensione degli orientamenti della cultura contemporanea. Svincolata dalla funzione originale di copertura del corpo, la moda, vale a dire la scelta dell’abbigliamento più bello e dunque intesa come ricercatezza estetica.

Dunque la moda potrebbe essere anche uno strumento di studio psicologico?
Se ci trasferiamo nella nostra epoca, sembra utile soffermarsi su quelle che sono le motivazioni della moda. La riflessione ci porta a considerare che la moda non è soltanto un fenomeno frivolo e salottiero, ma è in realtà lo specchio del costume, dell’atteggiamento psicologico dell’individuo, della sua professione, dei suoi orientamenti sociali e politici.

La moda e l’arte si sono spesso incrociate e contaminate l’un l’altra?
A mezzo secolo di distanza Elsa Schiaparelli e Jean Paul Gautier vengono fortemente influenzati dall’arte surrealista, mentre numerosi artisti si sono ispirati alla moda, così come grandi designer si sono ispirati all’arte: basta pensare ad Armani e Missoni.
Pensiamo anche al rapporto tra la moda e il teatro, a quello tra la moda e le città. Ancora più denso e costante è il rapporto tra cinema e moda, che potremo definire “la settima
e l’ottava arte”. Quante icone del cinema sono diventate testimonial della moda in un intrecciarsi di decenni, simboli e tendenze socio-culturali. La moda ha sempre avuto nella storia una forte capacità di ascolto della società e nel contempo una notevole influenza sui costumi. Questo potere può essere utilizzato per portare la moda, e anche il lusso, ad una dimensione etica sia dal lato produttivo, sia da quello dei comportamenti di consumo.
Sotto il primo profilo si tratta di valorizzare la sapienza dei mestieri e la capacità artigianale nel rispetto dei territori e dei lavoratori; mentre per quanto riguarda i  omportamenti di consumo occorre che le persone – e i giovani in particolare – diventino sempre più consapevoli delle loro scelte di acquisto. La moda, il made in Italy, ovrebbe assumere un ruolo determinante nel diffondere valori positivi, oltreché altissima qualità, nel mondo.

Etica e Moda, perché?
La moda oltre ad essere estetica deve essere etica. Non deve solo rendere le persone più belle, ma anche migliori. L’abito che indossiamo racconta chi siamo, quali valori
abbiamo, con quali modalità ci rapportiamo con il mondo circostante. Per questa ragione la moda ha una importante responsabilità sui giovani, perché può renderli più
consapevoli dell’impatto e delle conseguenze delle loro scelte.
Non dimentichiamoci che siamo tutti coinvolti, in prima persona, nel trovare soluzioni alternative, migliori, rispetto alla gestione disattenta, e spesso spregiudicata, del nostro
pianeta negli ultimi decenni.
La moda italiana ha la possibilità di guidare, e comunque di partecipare attivamente a una trasformazione responsabile della società. I beni presenti sul mercato hanno sempre più un valore simbolico e comunicazionale, pertanto i consumatori sono alla ricerca non solo di soddisfacimenti materiali ma anche di gratificazioni emotive ed affettive.

Dunque è importante sviluppare progressivamente i valori legati ad un consumo responsabile, che da tempo sono emersi nonostante alcune oggettive difficoltà legate alle dinamiche dei consumi di moda?
Da questo punto di vista si registra una comunanza di vedute e di basta pensare al trench, che nascere sui campi di battaglia per poi vivere sulle passerelle. Scaldare i militari
e poi vestire le fashion victim. La storia del trench, il cappotto pensato per le trincee di guerra (“trench”, in inglese, significa trincea) è intricata e appassionante come quella
di un romanzo. I suoi protagonisti? Gabardina di cotone, maniche raglan, doppio petto e lunghezza oltre il ginocchio.
Elementi portati alla perfezione da tanti stilisti e soprattutto da Burberry, il marchio che l’ha reso famoso.